VOCI E STRUMENTI AL SERVIZIO
DELLA SACRALITÁ
Le motivazioni del concerto vanno ricercate nello studio dei processi della riforma della musica sacra a distanza di un secolo, attraverso la testimonianza di quelli che ne sono stati i principali fautori.
Le celebrazioni del centenario della morte del tanto amato S.Pio X nativo della vicinissima Riese, ci hanno invitati tutti a meditare sul suo atteggiamento nei confronti della grande guerra mondiale, che pur si ricorda dopo un secolo dall’inizio per il suo epilogo che potrebbe offrire motivi di orgoglio, se non si medita sugli orrori degli indescrivibili sacrifici che ha comportato.
Esemplare rimane ancora la straordinaria vicinanza del Santo Papa alle terre di origine ed il suo rapporto di affetto per i suoi parenti dei paesi della pedemontana e di Possagno in particolare, dove è stato ospite del nipote Parroco Mons. G.Battista Parolin. Nel Tempio Canoviano ha più volte celebrato, lasciando preziosi doni di arredo sacro.
Lo studio delle attività del suo pontificato evidenziano un’importante serie di riforme che rimarranno indelebili nella storia della chiesa cattolica. In tema, la sua riforma della musica sacra va interpretata alla luce del suo motto che si impegnò ad attuare scrupolosamente: «rinnovare ogni cosa in Cristo». Mirava in quegli anni a “purificare” la musica di chiesa dalla contaminazione di quella profana teatrale.
La musica destinata alla celebrazione dei riti doveva essere “vera arte”, con aderenza ai testi che presentava, con la consonanza ai momenti liturgici e ai gesti dei riti, con il coinvolgimento dell’intera assemblea nella celebrazione, evitando cedimenti alla leggerezza e alla superficialità, con requisiti di universalità («nessuno di altra nazione nell’udirla debba provarne impressione non buona»).
Supremo modello della musica sacra, elemento di unità nella liturgia era, per S.Pio X, il canto gregoriano. Insisteva particolarmente sulla formazione musicale dei chierici, sulla promozione con impegno delle “scholae cantorum”, specialmente presso le chiese cattedrali, e delle scuole di musica sacra. Nascono allora le cosiddette “ceciliane” e, a Roma, il Pontificio Istituto di Musica Sacra.
Il questo contesto storico, con una profonda conoscenza delle innumerevoli composizioni sacre elaborate nel corso dei secoli da musicisti profondamente imbevuti del senso dei misteri divini, si staglia la figura di Mons. Lorenzo Perosi. Nacque a Tortona nel 1872, dove ricevette i primi insegnamenti musicali dal padre Giuseppe, maestro di cappella nella cattedrale della città. Perfezionò la sua naturale predisposizione con studi a Roma, Milano e Ratisbona. A 18 anni era organista e maestro di canto presso l’Abbazia di Montecassino. La sua carriera di musicista e compositore iniziò a Imola e nel 1894 divenne direttore della Cappella Marciana, la basilica di Venezia. Da qui i primi contatti (1893-1903) con il patriarca Sarto, futuro Pio X.
In seminario conobbe don Orione, che contribuì a maturare la sua vocazione al sacerdozio; l’ordinazione avvenne nel 1895. Le sue straordinarie doti furono premiate con la nomina da parte di Papa Leone XIII a “Direttore Perpetuo della Cappella Musicale Pontificia Sistina” nel 1898, a 26 anni, e ancor più dalla stima e rispetto dei più importanti compositori e musicisti contemporanei quali Puccini, Mascagni, Boito, Massenet, Janacek e Toscanini. Godette della stima di Papa Pio X che ammirò il suo talento e si avvalse della sua rilevante collaborazione per la citata riforma sulla Musica Sacra, promulgata col “Motu proprio” del 1903; stima confermata dai Papi che succedettero.
Tutta la sua musica liturgica e sacra risente dei principi riformatori che l’hanno ispirata; in essa c’è il senso del popolare, del sociale, del comunitario, non legato ai modelli profani imperanti del suo tempo; è una lettura illuminata di testi sacri (Parola di Dio), da parte di un sacerdote. Idee che la modernità presente nella musica sacra contemporanea dovrebbe far proprie, perché ribadite dalle norme conciliari. La sua vulcanica attività creativa comprende 9 oratori, 11 messe, 16 quartetti per archi, preludi, pezzi per organo, musica sinfonica, vari mottetti di musica vocale e laude popolari. La Missa Secunda Pontificalis in programma, è l’ultima da lui composta, nel 1906. Asolo, Campese e la serena ospitalità della Pieve di Sant’Eulalia, che rende particolarmente significativa la replica di questo concerto, furono luoghi ideali per ritemprare la sua salute, turbata da periodi di grave depressione. Morì a Roma ottantatreenne nel 1956, 58 anni fa.
ANTONIO CARMIGNOLA e la
MISSA SECUNDA PONTIFICALIS
Il M° Antonio Carmignola, nato nel 1913 a Treviso, dove si spense nel 1984, è stato uno dei più stimati didatti della scuola violinistica trevigiana del secondo dopoguerra, oltre che primo violino dell’Orchestra Sinfonica di Treviso (che tanta parte ebbe nella rinascita del Teatro Comunale della Città, a partire dal 1949). Allievo presso il “Manzato” del grande maestro Boehm, per lunghi anni fu anche componente di famosi Ensembles italiani, come i Filarmonici di Bologna, dove fu chiamato per chiara fama da un altro Trevigiano illustre, il Direttore d’Orchestra Angelo Ephrikian. Oltre ad essere stato per decenni il primo violino del famoso “Quartetto di Treviso”, con la moglie Elsa Taffarel (pianista sensibile e anche lei didatta appassionata), formò un duo molto apprezzato.
La trascrizione della Missa Secunda Pontificalis si ascrive al 1959: in quell’anno don Giovanni Patrizio – Parroco della Chiesa di S.Nicolò in Treviso – venne nominato Monsignore, esattamente 700 anni dopo l’elezione a Priore del Convento dei Domenicani (annesso alla Chiesa) del trevigiano Nicolò Boccassino, poi divenuto Papa con il nome di Benedetto XI.
Al M° Carmignola, terziario carmelitano e parrocchiano assai coinvolto nella vita di S.Nicolò – dove spesso animava la celebrazione della Santa Messa domenicale, con i figli Gianni (violista) e Giuliano (violinista) – sembrò cosa buona rendere più solenne la cerimonia, e pertanto si mise a trascrivere per piccolo organico di strumenti ad arco questa Messa di Perosi, all’epoca assai nota ed abitualmente proposta nella veste originariamente concepita dall’Autore, cioè con l’accompagnamento dell’organo. Dopo quella solenne circostanza, il lavoro non venne più eseguito per oltre trent’anni, fino a quando il figlio Gianni e sua moglie decisero di “rispolverarne” il manoscritto, una quindicina di anni fa.